Io sono città. Noi siamo città

Quando mi capita di pensare al futuro, penso a quei giorni che percorrono i miei anni ottanta fino alle soglie del nuovo millennio. Me lo ricordo bene quel periodo e, a guardarlo con la giusta distanza, senza dubbio per me era il futuro: un momento storico perfetto in cui l’ago della bilancia, che determinava l’equilibrio fra tecnologia ed umanità, era ben allineato al centro. Il futuro, difatti, coincide sempre con qualcosa di semplice che semplifica le nostre vite. Oggi viviamo una fase complessa, e in un certo senso limite, per la storia dell’umanità. Di fronte a cambiamenti repentini di abitudini e stili di vita, gli esseri umani sono costretti ad adattarsi e mutare la loro natura, influenzando di conseguenza l’ambiente urbano inteso come luogo di condivisione e scambio. Tutto cambia con una rapidità alla quale non siamo stati preparati, alla mercé di un ritmo perenne determinato da due super velocità. Da un lato c’è la tecnologia che procede inesorabilmente, come si fosse accorta soltanto adesso di essere in ritardo con i suoi piani originali; dall’altro c’è l’umanità che raccoglie coloro i quali si sentono accomunati da un senso di straniamento nel quale sono costretti a vivere perché bruscamente scagliati in una fase temporale che non li vede reali protagonisti. È questo un momento storico senza precedenti in cui non siamo mai stati allo stesso tempo così vicini e lontani e in cui il meccanismo di adattamento dell’uomo sembra essersi inceppato, insufficiente a fronteggiare quei grandi cambiamenti che si manifestano ciclicamente e in sempre più brevi intervalli di tempo. La sfericità della terra e la circolarità dei suoi eventi, d’altronde, ci portano a pensare – in una prima approssimazione – che il mondo sia un mondo finito: predeterminato. L’uomo è per sua natura portato a valutare determinati segnali, a contrarli e cercare di anticipare dei cambiamenti che in realtà sembrano essersi già verificati. Le variazioni temporali e i suoi continui adattamenti, non sono altro che l’effetto di qualcosa che è già avvenuto ma che semplicemente si ripete in una nuova veste. L’uomo d’oggi, ad esempio, è molto più vicino a quello del 400 più di quanto non lo sia ad un suo pari vissuto nel 800 il quale, a sua volta, si avvicina molto di più all’uomo vissuto in epoca romana. È in questo scenario apparentemente anacronistico dove è caccia aperta ad un’umanità sempre più rara che crescono e si sviluppano le nostre città; città da sempre teatro dell’umanità, degne rappresentazioni della nostra società e il cui controllo adesso ci sta sfuggendo di mano. Il modello a cui eravamo abituati, fatto di città autosufficienti e indipendenti, non esiste più e siamo difronte ad una città “ageografica”, senza un luogo esatto e costretta a dimostrare un’inedita muscolatura urbana atta a sostenere i ritmi di città più forti. Ogni città diventerà presto follower di una città più imponente fino a comporre un grande libro consumato con un infinito numero di pagine abitate e posto su un’unica libreria universale. Città cluster che diventeranno nodi di una definizione algoritmico-generativa creata ad hoc per essere da supporto ad una visione globale. L’attuale incremento di tecnologia genera, poi, due fenomeni principali i cui attori sono gli stessi: gli esseri umani. Innalzando il livello comunicativo e interattivo, difatti, si genera allo stesso tempo una società ad alta comunicazione, che non ha confini territoriali ed espressivi ed una società a bassa comunicazione, che interpreta vecchie tecnologie informative col duplice scopo di conservare la loro memoria ma anche di utilizzarne lo “svantaggio” tecnologico in un’ottica di comunicazione elitaria e soprattutto meno controllabile. Tutto questo porta ad uno sfaldamento dei vecchi modelli costituiti di gestione sociale ed urbana, facilitando di contro dinamiche che investono sull’apporto individuale del cittadino come strumento generativo ed attuativo. Vivremo sempre più intensamente una fase di interiorizzazione della città in cui l’essere umano diventerà parte di un congegno bio-meccanico strutturato e integrato con l’ambiente urbano. In una logica di smaltimento e minimizzazione la tecnologia ridimensionerà sempre di più il suo hardware ed anche la città diventerà sempre più piccola e sempre più personale fino a coincidere con l’essere umano.

Immagine “Pulizie di primavera” (1971). Superstudio, Atti Fondamentali. Vita – Supersuperficie.

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