Oggi più che mai il mondo affronta con inedita difficoltà l’attuale momento storico. A fronte di un progresso tecnologico incessante, e ai conseguenti e repentini cambiamenti di abitudini e stili di vita, gli esseri umani sono costretti a ritrattare il loro patto evolutivo con la storia avviando un percorso conservativo che garantisca loro la sopravvivenza: il ritorno all’auto-produzione agricola. L’esercizio di prospettiva stabilisce che nel 2050 nove miliardi di persone abiteranno una Terra che verrà portata ad un livello di stress ecologico limite. Soddisfare le nuove esigenze agroalimentari diventa l’occasione per ripensare le nostre città attraverso abitazioni ‘alimentarmente autosufficienti’.
Il progetto. La società odierna, pur proclamandosi contemporanea e futuristica, si ritrova ancora ad affrontare problemi antichi come la nutrizione. L’incessante progresso tecnologico, unito ad una sempre maggiore richiesta di ritorno alle “origini naturali dell’uomo”, costringe gli esseri umani in una condizione scioccante che sembra configurare un futuro che assomiglia più al passato, avviandoli verso un percorso conservativo per la propria sopravvivenza. Questo processo, prolungandosi fino al 2050, avrà per conseguenza una crescita demografica fino a nove miliardi di persone, consumatori che porteranno la Terra ad un livello di stress ecologico limite. Una risposta possibile e coerente a queste circostanze è sicuramente un ritorno all’agricoltura, in particolare alla micro-produzione agricola, come strumento utile a garantire anche la sicurezza alimentare globale. Fin dall’antichità l’attività agricola è stata individuata come la condizione dell’uomo civilizzato per eccellenza, in contrapposizione all’uomo nomade e cacciatore, e i miti antichi, quasi sempre legati a questo tema, testimoniano che essa ha cambiato il modo di vivere dell’uomo, consentendo lo stanziamento e la nascita dei primi agglomerati urbani. Nel mondo greco-romano il modello della Villa rustica, abitazione autosufficiente strettamente legata alla produzione agricola del terreno circostante, era largamente diffusa in tutto l’impero e la vita agricola era esaltata persino da Esiodo come “cura morale” e unico mezzo onesto di sostentamento. In Cina gli abitanti di Hakka, nel XVII secolo, per far fronte a guerra e crescita della popolazione, realizzavano comunità alimentarmente autosufficienti denominate Tulou caratterizzate da massicce abitazioni a corte circolare o quadrata. Una risposta storica, che non prevede l’impiego di tecnologie moderne e che si presenta ancor oggi come valida e sostenibile è la diversificazione delle specie coltivabili: già nel XVII secolo, grazie alla scoperta e classificazione di piante da frutto autoctone di ogni parte del mondo, i naturalisti-esploratori di quell’epoca ipotizzarono la realizzazione di piantagioni dall’enorme varietà di specie, capaci di garantire (come nel miti dell’Età dell’Oro e dell’Eden) di avere frutta commestibile in ogni parte dell’anno. L’agricoltura, storicamente legata allo scorrere naturale delle stagioni e ai capricci del clima, oggi rompe i legami millenari con i suoi vecchi modelli, a causa dei complessi sistemi tecnologici ed economici che determinano consumo di suolo, desertificazione, allontanamento dei sistemi produttivi dalla pratica quotidiana delle persone e scomparsa di numerose specie di insetti impollinatori a vantaggio di pesticidi che rendono infertile la terra. Secondo le stime dell’O.N.U., infine, nel 2050 la popolazione mondiale salirà a circa nove miliardi di persone e il mondo verrà presto travolto dalle produzioni meccanizzate e dallo sfruttamento ultra intensivo del suolo allo scopo di ottenere il 50% di produzione agricola in più necessaria a sfamare gli oltre tre miliardi di abitanti in arrivo. Sono convinto che uno scenario così rischioso possa essere affrontato coerentemente solo da un’architettura caratterizzata da una grande responsabilità etica, morale, sociale e culturale che introduca soluzioni sistematiche attraverso un nuovo modello abitativo autosufficiente dal punto di vista agricolo. L’auto-produzione agricola, infatti, oltre ad impedire ai produttori di creare piantagioni intensive in paesi poveri provocando deforestazione ed espropri forzosi, possiede il vantaggio provvedere alle proprie necessità e favorire piantagioni caratterizzate da diversificazione di specie coltivabili che, a sua volta, garantiscono la diffusione di insetti impollinatori. Le mie radici hanno profondamente influito sulla scelta del tema di ricerca. Sono nato in un piccolo paesino a vocazione agricola della Sicilia, regione che possiede una profonda tradizione rurale e una natura meravigliosa e che oggi è vittima di una crisi sociale ed economica. Una delle risposte locali che sono state date al suddetto problema è rappresentata dal progetto Farm Cultural Park, luogo che costantemente contribuisco a sviluppare sin dalla sua nascita in qualità di componente della sua comunità di fondatori. Farm Cultural Park è un esperimento sociale senza precedenti che coinvolge attivamente la cittadinanza di Favara, a pochi chilometri dalla Valle dei Templi di Agrigento, in un processo di rigenerazione del centro abitato che crea un inedito substrato agricolo e culturale attraverso l’arte, l’architettura e le discipline sociali che qui rappresentano una “medicina attiva” per la società contemporanea. A partire da tali premesse, e facendo tesoro delle mie esperienze di vita, ho già avviato un percorso coerente di ricerca, teso alla realizzazione di architetture che permettano di intraprendere relazioni dirette con l’agricoltura integrando sinergicamente la tecnologia per ottenere risultati capaci di coinvolgere aspetti architettonici, produttivi e sociali. Da tali premesse sono nate le prime tre esperienze, Sainthorto, Wunderbugs e Zighizaghi: rispettivamente un orto interattivo, uno spazio immersivo per insetti ed esseri umani e un giardino multisensoriale; tutte architetture pluripremiate e protagoniste delle prime due edizioni della Maker Faire Europe. Nelle sopracitate architetture vengono messe in relazione capacità ed esperienze del passato (l’agricoltura e l’allevamento degli insetti impollinatori) con sistemi informatizzati (musica generativa e interazioni social) e modalità architettoniche di oggi, sensibilizzando il cittadino verso aspetti sociali, ecologici ed etici. Sainthorto in particolare è stato scelto da EXPO Milano per il Wired Next Fest e vincitore dell’Oscar Green, dimostrandosi un progetto valido e dotato di una tecnologia agricola contemporanea dai risvolti positivi e innovativi.
Intenzioni e risultati attesi. La presente proposta di progetto fonda le sue basi teoriche sugli studi condotti grazie alla rivista che ho co-fondato, Cityvision, con la quale è stato possibile investigare, attraverso cinque concorsi internazionali e il contributo di architetti e creativi da tutto il mondo, la città del domani e la risoluzione di attuali crisi globali. Sintetizzando i dati raccolti, è stato possibile avviare la ricerca che propongo, che vuole sviluppare un modello architettonico di abitazione in grado di produrre e soddisfare direttamente i bisogni agroalimentari di chi ci vive, che diventi anche l’occasione per ripensare le nostre città attraverso edifici “alimentarmente autosufficienti” e con i quali ritrovare anche una dimensione più “naturale” dal punto di vista fisico ed emotivo.
Immagine del “Tianluokeng Tulou cluster”
*Nel 2017 questa ricerca ha partecipato al Wheelwright Prize indetto dalla Harvard University Graduate School of Design