Questa ricerca vuole investigare nuovi modelli di comunità resilienti che, partendo dalla rigenerazione di sistemi naturali compromessi dall’azione umana, mettono in atto un re insediamento antropico in equilibrio fra natura e tecnologia. Oltre a sensibilizzare su tematiche legate ai cambiamenti climatici, la ricerca vuole orientare la pratica architettonica verso una nuova etica progettuale promuovendo l’urgenza di evitare altro consumo di suolo e anzi recuperarlo attraverso processi di fertilizzazione e naturalizzazione. Il progetto, infine, ponendo le sue basi sullo studio di modelli consolidati come gli ecovillaggi, mira a definire nuove strategie abitative avvalendosi anche di una personale esperienza decennale in progetti di rigenerazione urbana in ambito mediterraneo.
Siamo spettatori inermi di un’incessante antropizzazione che vede il nostro pianeta e le sue principali componenti ecosistemiche – aria, acqua e terra – sempre più compromessi dall’azione umana. Una condizione drammatica accentuata da una crisi climatica in atto che è la principale minaccia al benessere sociale, economico e ambientale delle future generazioni. Di conseguenza è di fondamentale importanza accrescere la vivibilità urbana e periurbana tutelando e valorizzando le risorse naturali – come il suolo di cui occorre evitarne l’eccessivo consumo – seguendo un approccio ecosistemico pragmatico e olistico allo stesso tempo. Il suolo, infatti, per i tempi di formazione molto lunghi (uno strato da 1 a 2,5 cm si ottiene in quasi 500 anni), deve essere considerato una risorsa non rinnovabile e quindi da proteggere dalle innumerevoli forme di degradazione, tra le quali l’impermeabilizzazione. La Commissione Europea, con la strategia della “land degradation neutrality”, ha stabilito che entro il 2050 il consumo di suolo comunitario deve raggiungere il saldo zero, come misura principale di contrasto ai cambiamenti climatici, i cui effetti stanno conoscendo una inedita intensità e che conseguentemente produrrà un cambio di un paradigma legato alla progettazione architettonica. Partendo da queste considerazioni che descrivono uno scenario globale delicato e complesso si muove lo scopo di questa ricerca, ovvero investigare e catalogare un insieme di strategie architettoniche e modelli insediativi tipici di comunità autonome e consolidate per poi produrre una nuova idea di comunità resiliente che adotti una profonda e coraggiosa rivisitazione di consolidati modelli culturali, tecnici e normativi, tornando a vivere una relazione armonica con il proprio territorio. Punto di partenza e modello insediativo di riferimento sono gli ecovillaggi, piccole comunità rurali o urbane che integrano una struttura sociale basata sulla solidarietà con attività pratiche legate alla progettazione ecologica. Gli ecovillaggi, teorizzati per la prima volta dall’agronomo australiano David Holmgren, cercano di proteggere i sistemi viventi del pianeta, di incoraggiare la crescita personale e di sperimentare stili di vita che facilitano il benessere tra gli esseri umani e la natura oltre a garantire anche istanze di tipo educativo, religioso e politico. La realtà degli ecovillaggi è oggi più che mai attuale soprattutto perché cerca di rispondere alla disgregazione del tessuto familiare, culturale e sociale della condizione postmoderna e globalizzata configurandosi allo stesso tempo come un vero e proprio laboratorio di ricerca e sperimentazione architettonica. Gli ecovillaggi sono dei virtuosi dispositivi di rigenerazione che però rischiano di rimanere chiusi in sé stessi perché spesso trovano nella loro poca integrazione con la tecnologia il proprio limite. Il nuovo progetto di comunità oggetto di questa ricerca mira ad evolvere l’esempio dell’ecovillaggio attraverso un sistema in equilibrio fra natura e tecnologia. Una comunità con piante e specie animali utili ai suoi abitanti e gestiti da sistemi automatizzati che configureranno un sistema agricolo completo e sostenibile con alla base una forte etica nell’uso della terra, della tecnologia e del tempo. I principi fondativi che stanno alla base della nuova comunità si potrebbero assimilare a riti di fondazione ancestrali che non evocano divinità del passato bensì del futuro. Dati, connessioni e algoritmi faciliteranno lo svolgimento delle attività all’interno della comunità, restituendo il giusto tempo e il corretto spazio personale in cui far maturare le conoscenze e le passioni degli abitanti. È questa una ricerca che pone le sue basi su un personale studio sull’architettura delle comunità resilienti. Un percorso attivo iniziato nel 2010 con Farm Cultural Park, progetto di rigenerazione urbana di un piccolo centro siciliano da nome Favara al quale si è aggiunto nel 2013 il progetto di rigenerazione della città di Mazara del Vallo, Periferica, per poi culminare nel 2017 con una scuola di architettura per bambini dal nome Sou. Tutte esperienze che oggi rappresentano una concreta utopia sociale che coinvolgono attivamente la cittadinanza in un processo di riabilitazione del centro abitato creando un inedito substrato urbano e culturale attraverso arte, architettura e discipline sociali. A partire da tali premesse ho già avviato un percorso coerente, teso alla realizzazione di architetture che permettano di instaurare relazioni dirette con lo spazio urbano utilizzando la tecnologia per ottenere risultati capaci di coinvolgere aspetti architettonici, produttivi e sociali. Da tali premesse sono nate le esperienze di Sainthorto, Wunderbugs e Zighizaghi: rispettivamente un orto interattivo, uno spazio immersivo per insetti ed esseri umani e un giardino multisensoriale. Il lavoro sopracitato trova oggi una sua importante continuità grazie all’invito da parte del Padiglione Italia all’interno della prossima Biennale di architettura a Venezia dove presenterò un’architettura terraformante: dispositivo meccanico che, attraverso un processo artificiale, trasforma in produttivo – e quindi abitabile – un territorio reso improduttivo – e quindi ostile – dall’azione umana, ripristinando i cicli naturali legati a ecosistemi e biodiversità.
Immagine “Ecovillaggi e comunità“
*Nel gennaio 2020 questa ricerca ha partecipato al Wheelwright Prize indetto dalla Harvard University Graduate School of Design